Psicologia Attiva - Dott.ssa Isabella De Franceschi

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F.A.Q.

Così come si sceglie di andare, così si può scegliere di interrompere; la terapia non è un’obbligo ma
un’opportunità di benessere. E’ comunque qualcosa di cui è importante parlare  con lo specialista
che ci sta seguendo per capire meglio cosa sta succedendo in quel momento della terapia e decidere
insieme qual è la cosa migliore per noi.

Certo, lo psicologo è tenuto a mantenere il segreto professionale, non giudica il comportamento o la
vita delle persone ma, al contrario, ti fa sentire libero, accoglie e aiuta a trovare o ritrovare la strada
per vivere meglio con se stessi e con gli altri.

Lo psicologo non cura con i farmaci ma con tecniche e strumenti che hanno l’obiettivo di insegnare
al paziente a capire e riconoscere il problema e a costruire le abilità necessarie per fronteggiarlo .

Assolutamente no, i primi segnali che si avvertono,  per esempio ansia, panico o cattivo umore non
sono segni di pazzia ma di mancanza di serenità, sono segnali di disagio, che indicano  il  bisogno
di ritrovare un equilibrio esistenziale.  Chi decide di andare dallo psicologo ha semplicemente  più
consapevolezza di altri che c’è un problema ma sa che mancano gli strumenti adatti a risolverlo e ha
bisogno di aiuto.

Non esiste una regola precisa rispetto alla durata, dipende da caso a caso, dal tipo di problematica e
quindi dal tipo di intervento. Lo psicologo/psicoterapeuta chiarisce fin dall’inizio con il paziente
questo aspetto, spiegandogli che l’obiettivo è quello di raggiungere insieme degli obiettivi
terapeutici, quindi la durata dipenderà anche dalla motivazione, l’impegno e la costanza della
persona che richiede l’aiuto. Se chi decide di intraprendere un percorso ha chiaro che la terapia non
è una costrizione ma un’opportunità di crescita e che  la sua è una partecipazione attiva al processo,
si potrà lavorare meglio e raggiungere prima gli obiettivi.

In genere una persona si rivolge a uno psicologo quando sta vivendo una situazione difficile e sente
di non possedere gli strumenti per fronteggiarla, quando si sente sovrastato da eventi di vita, quando
percepisce di stare vivendo una relazione che lo fa stare male. Ci si può rivolegere a uno
psicologo/psicoterapeuta anche quando si presentano dei segnali di disagio apparentemente non
riconducibili a nessuna causa specifica, come ad esempio tristezza, apatia, oppure rabbia
incontrollata, o ancora attacchi di panico.

Chi ha bisogno di aiuto non lo chiede, o aspetta anni prima di rivolgersi ad uno
specialista quando ormai il convivere con i propri problemi lo ha portato allo sfinimento
compromettendo in modo significativo diversi ambiti della propria vita.
Ecco una sintesi dei luoghi comuni da sfatare e di credenze da modificare per scegliere in piena
libertà se abbiamo bisogno di incontrare uno psicologo.
1. “Lo psicologo cura i matti”. L’errata convinzione che lo psicologo si occupa soltanto delle
forme di psicopatologia è dura a morire. Questa poggia in parte sulla confusione esistente tra
psichiatra e psicologo e in parte sulla mancata conoscenza riguardo agli ambiti di intervento
psicologico che spaziano dalla promozione della salute, alla scuola, alle aziende.
2. “Costa tanto”. Rivolgersi ad un professionista ha un prezzo, sia che si tratti del dentista, del
cardiologo o di uno psicologo! La spesa economica a cui vogliamo sottrarci si traduce
direttamente in termini di costo per la nostra serenità e benessere, sebbene questi ultimi
siano difficilmente quantificabili.
3. “Ci vogliano anni di terapia”. La durata dell’intervento psicologico non può essere
definita a priori, a volte possono bastare anche pochi incontri. Tutto dipende dal motivo
della consultazione e solo una parte di coloro che si rivolgono ad uno psicologo necessita di
un intervento psicoterapico che compete esclusivamente allo psicoterapeuta.
4. “Che cosa direbbero gli altri se sapessero che vado dallo psicologo?”. E’ importante
sapere che esiste un codice deontologico che disciplina la professione secondo il quale lo
psicologo ha il dovere di tutelare la privacy dei suoi clienti. Se non vuoi far sapere che ti sei
rivolto ad uno psicologo basta solo che eviti di dirlo ad altre persone. Ciò, ovviamente, vale
per qualsiasi altra prestazione sanitaria.
5. “A me non serve aiuto. Come sempre ce la faccio da solo”. Spesso il gesto di chiedere
aiuto viene considerato un atto di debolezza ma è inevitabile che prima o poi nel corso della
vita capiti di aver bisogno dell’altro. Rivolgersi ad un psicologo quando si vive un malessere
o si ha un problema è invece un atto di coraggio e di responsabilità verso se stessi.
6. “Basta prendere dei farmaci”. La terapia farmacologica non può essere considerata
un’alternativa. In determinati casi è necessario che questa sia integrata ad un trattamento
psicologico in modo da consentire l’elaborazione dei vissuti piuttosto che evitare di parlare
dei problemi.
7. “Se vado dallo psicologo ne uscirò cambiato”. Quando si vive un disagio è perché
qualcosa nella propria vita non è come dovrebbe essere. Rivolgersi ad uno psicologo per
poter stare meglio richiede che si compia un processo di cambiamento, la trasformazione
non è solo inevitabile ma necessaria per ritrovare il proprio benessere.
8. “Quali garanzie ho che starò meglio?”. Lo psicologo può solo garantire della sua
formazione professionale e sul suo impegno ad aiutarvi, se decidete di rivolgervi a lui
imparerete ad accettare la vita anche senza garanzie.
9. “I panni sporchi si lavano in casa”.  Il detto popolare in questo caso non è d’aiuto poiché i
problemi è meglio affrontarli con una persona diversa da noi stessi portatrice di un altro
punto di vista e capace di suggerire strategie alternative a quelle che siamo solite utilizzare.
10. “Conoscendo le tecniche si può fare da soli”. L’efficacia di un intervento psicologico non
è riducibile al solo impiego di tecniche specifiche il cui utilizzo avviene sempre all’interno
di una relazione tra chi richiede aiuto e chi è disposto a darlo.